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Alcune ricerche alternative riguardo all'Alzheimer

Walter Falletti
Pubblicato da in Medicina integrata · 10 Gennaio 2017
Tags: medicinaintegrataricerca

Da: Mille piante per guarire dal Cancro senza chemio.
Di Giuseppe Nacci, M.D. Medico Chirurgo Specialista in Medicina Nucleare
Si può fin da adesso affermare che il problema dell’invecchiamento, della malattie cardio-vascolari e delle malattie neurologiche correlate (Alzheimer, Morbo di Parkinson e Parkinsonismi, Aterosclerosi della circolazione cerebrale, demenze senili, ictus, etc…) siano in genere correlate a:
1) carenza di vitamine naturali capaci di mantenere normo-perfuse le diverse zone del cervello, attraverso un buon mantenimento fisiologico delle pareti capillari, arteriolari e venose.
2) carenza di vitamine naturali capaci di mantenere protetta la singola cellula dagli stress ossidativi, procrastinandone così nel tempo la morte finale.
3) presenza di sostanze tossiche di varia origine (Mercurio, Alluminio, Polveri sottili, etc) nel circolo ematico cerebrale e sistemico, che arrecano danno alle pareti circolatorie e alle singole cellule dei tessuti e degli organi, come ad esempio il cuore, il fegato, i reni, etc.. .
Questo quadro ezio-patologico si correla quindi molto bene con quello dei problemi circolatori di importanti organi-chiave, configurando quel complesso quadro fisio-patologico che va sotto il nome di invecchiamento.
Malattia di Alzheimer
La malattia di Alzheimer ha caratteristiche neuropatologiche specifiche, come:
1) Formazione di placche
2) Deposizione di sostanza amiloide
3) Neurofibrille gangliari
4) Degenerazione granulovacuolare
5) Massiva perdita di neuroni telencefalici
Questi reperti sono particolarmente evidenti a livello della corteccia e dell’ippocampo.
L’Alluminio è considerato uno dei più probabili agenti di questa patologia, essendo stata dimostrata la forte presenza di Alluminio nelle neurofibrille degenerate caratteristiche di questa malattia. Qui di seguito si riportano alcuni dati tratti da Joseph E. Pizzorno
Jr and Michael T. Murray: “Trattato di Medicina Naturale”, UTET, 2001
“Non è stato ancora determinato se la presenza di Alluminio si sviluppi in risposta alla malattia di Alzheimer o se sia proprio essa la causa della formazione delle lesioni, d’altra parte, l’Alluminio contribuisce in maniera significativa alla progressione della malattia. L’Alluminio ha una fortissima affinità per il filamento tau a doppia elica, che è implicato nella formazione delle patologiche neurofibrille gangliari. Infatti, uno studio abbastanza recente ha dimostrato che l’Alluminio è il cofattore con cui il filamento tau forma le neurofibrille gangliari (1727): l’Alluminio lega selettivamente il filamento, inducendolo ad aggregarsi, e diminuisce la capacità del cervello di distruggerlo. Ci sono molte prove che correlano l’esposizione cronica all’Alluminio all’Alzheimer. L’incremento delle concentrazioni di Alluminio a livello cerebrale potrebbe spiegare perché l’incidenza della malattia aumenti con l’età: uno studio effettuato su 356 persone in salute ha mostrato come la concentrazione sierica di Alluminio aumenti con l’invecchiamento (1724). Coloro che sono affetti da demenza di Alzheimer hanno livelli di Alluminio significativamente maggiori sia delle persone normali, sia dei pazienti con altri tipi di demenza, come quella alcolica o come la demenza multi-infartuale progressiva. Il tentativo di rimuovere l’Alluminio sembra in grado di aiutare alcuni, ma probabilmente è di scarsa utilità una volta che la malattia si è già instaurata. Per esempio, si è dimostrato che iniezioni intramuscolo di deferoxamina (un agente chelante sia il Ferro che l’Alluminio) per un periodo di due anni hanno comportato un rallentamento del tasso di progressione della malattia in 48 pazienti con demenza di Alzheimer (1725). Anche in coloro che non presentano una vera e propria malattia cerebrale, elevati livelli di Alluminio sono comunque associati a una ridotta funzionalità mentale. Per esempio, in uno studio su pazienti in dialisi, i 13 pazienti che avevano il test alla deferoxamina positivo (una misura della quantità di Alluminio corporea) sono stati comparati a 13 persone che erano risultate negative. Entrambi i gruppi sono stati sottoposti a quattro test di attenzione e due test di memoria: coloro che avevano livelli maggiori di Alluminio avevano alterazioni della funzione mentale da moderata a considerevole (1725). L’Alluminio pare derivare dall’acqua proveniente dall’acquedotto, dal cibo, dagli antiacidi e dai deodoranti. La fonte più importante è probabilmente l’acqua potabile, dal momento che l’Alluminio è presente nell’acqua in una forma maggiormente biodisponibile e potenzialmente tossica. Alcuni ricercatori hanno misurato l’assorbimento di Alluminio dall’acqua di rubinetto somministrando piccole quantità di Alluminio solubile in forma radioattiva nello stomaco di alcuni animali. Si è così scoperto che quantità-traccia di Alluminio penetravano immediatamente a livello cerebrale dopo questa singola esposizione. Inoltre è preoccupante il fatto che l’Alluminio è presente nell’acqua non solo naturalmente, ma è anche talora aggiunto sotto forma di Allume per depurare l’acqua (1726)….”
Nota importante : l’allume è spesso impiegato in molti farmaci !
Allume (Alluminio)
Non assumere farmaci contenenti Allume; non mangiare con utensili contenenti Alluminio, poiché disattiva diversi fito-complessi, fra cui la vitamina E. La sua assunzione è stata messa in correlazione con il Morbo di Alzheimer.
E’ quindi opportuno evitare tutte le fonti conosciute : farmaci antiacidi, prodotti antitraspiranti per le ascelle, pentole, carta stagnola, recipienti per gelati confezionati. L’Alluminio si trova anche nel lievito e nel sale dove viene usato per impedire la formazione di grumi. Bisogna tenere presente che il Magnesio riduce l’assorbimento di Alluminio, non solo a livello intestinale ma anche a livello di barriera emato-encefalica (1735, 1736).
Nota: la dimostrazione riguardo alla pericolosità dell'Alluminio è facilmente dimostrabile prendendo un recipiente di Alluminio (o rivestito all'interno con carta alluminata), riempendolo con acqua e sciogliendovi del bicarbonato di Sodio: l'Alluminio a contatto con una sostanza alcalina come il bicarbonato si scioglie formando gas: si può pertanto presumere che l'Alluminio dia luogo ad un avvelenamento caratterizzato da infiammazione gastro-intestinale da idrossido di Alluminio e forse da possibile degenerazione epatica e renale.
Particolarmente pericolosi i composti a base di Alluminio usati soprattutto dalle donne come deodoranti Cloridrato di Alluminio, che si sospetta essere possibili co-fattori di carcinoma mammario.
La carenza dello Zinco nella Malattia di Alzheimer
Tratto da: Joseph E. Pizzorno jr and Michael T. Murray: “Trattato di Medicina Naturale”, UTET, 2001
La carenza di Zinco è uno dei deficit nutritivi più comuni nell’anziano e, per alcuni, uno dei maggiori fattori implicati nell’insorgenza della malattia di Alzheimer (1728). Tra gli enzimi contenenti Zinco, ci sono la maggior parte di quelli implicati nella replicazione, riparazione e trascrizione del DNA. Si è ipotizzato che la demenza possa essere dovuta a protratte alterazioni enzimatiche della sintesi del DNA nelle cellule nervose, legate a una carenza di Zinco (1729). Inoltre, lo Zinco è un cofattore di molti enzimi antiossidanti, tra cui la Superossido Dismutasi. La sua carenza potrebbe essere la causa di distruzione neuronale, della formazione di neurofibrille gangliari e placche. I livelli di Zinco nelle cellule cerebrali e nel liquor di pazienti affetti da Alzheimer sono marcatamente ridotti e c’è una forte correlazione tra i livelli sierici di Zinco e placche senili (1730). Si è dimostrato che l’integrazione con Zinco produce buoni risultati in caso di Alzheimer.
Sperimentalmente, sono stati somministrati a dieci pazienti affetti da Alzheimer, 27 milligrammi al giorno di Zinco organico; solo due di essi non hanno avuto miglioramenti nella memoria, comprensione, comunicazione e contatti sociali. In un paziente di 79 anni, la risposta è stata ritenuta “incredibile” sia dalla famiglia che dallo staff medico (1731). Sfortunatamente, pare non esservi interesse da parte della comunità scientifica….
Il Floop dello Studio Cronos contro l’Alzheimer
Lo studio Cronos è stato condotto in Italia nella più vasta indagine di valutazione mai svolta al mondo sugli esiti, nel bene e nel male, dei trattamenti con gli INIBITORI della ACETILCOLINESTERASI, cioè con : Donepezil, Rivastigmina e Galantamina.
I dati sono stati raccolti su circa 5.500 casi italiani.
Su un numero dell’Espresso del 2005 si è affermato: “Dopo 9 mesi, solo un paziente su 6 di quelli che non hanno abbandonato lo studio mostra un miglioramento clinicamente significativo….Tutti gli sforzi per trovare qualcosa di curativo e non palliativo sono, per il momento, in stallo...Negli anziani dementi, inoltre, triplicano i casi di ictus e raddoppia la mortalità…”
Eppure, Mc Lachlan, in Ontario, ha già riscontrato dieci anni fa, in oltre 600 autopsie di pazienti morti di Alzheimer, concentrazioni molto alte di Alluminio ai gangli della base (1289), e di recente si è anche indicato nel Fluoro un altro dei killer silenziosi che preparano la malattia….
Trovare studi ben dettagliati che abbiano considerato tutte le alternative possibili al fallimento farmaceutico attuale contro questa malattia non è facile a causa della scarsità del rigore scientifico.
La via più logica, quella degli anti-ossidanti per proteggere e riparare i delicati endoteli vasali e per eliminare le sostanze tossiche potenzialmente accumulabili nel cervello, è ovviamente la strada più sicura, anche riguardo ad altre patologie simili (721, 722, 1350, 1706-1716).
Effettivamente, questi studi dimostrano un effetto positivo sul decorso della malattia, che meriterà un sempre più approfondito dibattito sull’impiego delle vitamine naturali anche per la cura di questa malattia. Si è visto che la presenza nel sangue di vitamina A, vitamina D, di Licopene e di Betacarotene, sono sempre molto bassi nei malati di Alzheimer, rispetto alle persone sane.
In particolare, si è visto che è proprio il basso livello di vitamina C il fattore maggiormente correlato con la malattia, in particolare con l’aspetto cognitivo del paziente (cognitive impairment).
Su quest’ultimo punto si riporta l’ottimo lavoro di Riviere (1219).
Interessante anche la misurazione dei lipidi perossidati nel sangue (1716)
Si è anche visto, in uno studio su 633 pazienti di età superiore a 65 anni, che l’alimentazione con dosi elevate di vitamina C determinava un decremento effettivo sul rischio di sviluppo della malattia (1220).
Altre vitamine promettenti sono il Selenio organico, il Coenzima Q10, e soprattutto il Magnesio.
Ritornando agli inibitori dell’acetil-colinesterasi, si è visto che la Huperzia serrata non presenta gli effetti collaterali della Prostigmina, Tacrina e Donepezil, pur agendo ottimamamente come inibitore dell’acetil-colinaesterasi, e ottenendo così in questa malattia considerevoli miglioramenti sia della memoria, sia della funzione cognitiva, sia del comportamento in oltre la metà dei casi (1341).
Anche la radice di liquirizia (ricca di Glicirrizina), assieme ai semi di Miristica fragrans diminuisce drasticamente l’azione dell’acetil-colinaesterasi (1705).
Interessanti risultati si sono anche avuti con il DHEA e con il Ginkgo biloba (1344-1347). Quest’ultimo ha dimostrato di stabilizzare la malattia e di migliorare la funzionalità mentale nel 64% dei casi, senza effetti collaterali. Ma dev’essere assunto per almeno 4 mesi.
Sull’Alzheimer, vedi anche in internet: “Prevention and Treatment of Alzheimer’s Disease with Natural Therapeutics”
Molto interessanti i possibili sviluppi sullo Zinco organico e altre ricerche che sono mirate alla ricerca della cosiddetta vitamina-chiave, che in molte malattie genetiche, considerate inguaribili dalla Medicina Ufficiale, possono invece determinare la soluzione cercata o arrivarci abbastanza vicino come ad esempio nel caso della Uperizina A (contenuta nella Huperzia serrata) per una possibile soluzione del Morbo di Alzheimer. Ma su oltre 600.000 specie di piante conosciute, non è possibile sapere quale vitamina potrebbe risolvere il difetto enzimatico di questa patologia, anche se è possibile ritenere che su una media di circa 100 vitamine per specie arborea conosciuta, le probabilità di trovare la vitamina enzimatica “giusta” appare molto promettente. Del resto la biochimica umana si è sviluppata nel corso di milioni di anni attingendo alle migliaia di vitamine naturali contenute nelle normali fonti alimentari delle specie animali di transizione: non resta quindi che cercare nell’immenso patrimonio naturale di oltre 6-10 milioni di vitamine o di sostanze pro-vitaminiche contenute nelle frutta e nella verdure biologiche del pianeta.
Uperzina A
L'uperzina A è un alcaloide naturale estratto da una pianta cinese, la Huperzia serrata. Viene utilizzata da centinaia di anni nella medicina tradizionale cinese nel trattamento della demenza senile. L'uperzina è stata isolata per la prima volta nel 1948 da alcuni ricercatori cinesi. Gli studi clinici sono stati realizzati per la maggior parte in Cina dove l'uperzina ha oggi lo statuto di farmaco e viene utilizzata nel trattamento della malattia di Alzheimer e di altri disturbi della memoria legati all'invecchiamento.
Ashwagandha
Il suo nome originale è Ashwagandha, ma molti la conoscono come Withania somnifera o Ginsegn Indiano. E’ una pianta conosciuta e usata da secoli nella Medicina Ayurvedica, e anche qui in Occidente è conosciuta per il suo uso quale tonico, negli stati di affaticamento mentale e fisico, stress… e perfino come afrodisiaco.
In questo studio, condotto su modello animale, invece si è dimostrata capace di “ripulire “ il cervello dalle proteine e placca beta-amiloide e invertire i danni causati dall’Alzheimer sia a livello fisico che comportamentale.
Lo studio, condotto dai ricercatori del National Brain Research Centre (NBRC) di Manesar (India), e pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) ha permesso di scoprire come un estratto di Ashwagandha fosse attivo già nel giro di 30 giorni nel migliorare le condizioni di un gruppo di topi che presentavano sintomi come quelli dell’Alzheimer.
Ai topi è stato somministrato giornalmente questo estratto che è parso aumentare la sintesi di una proteina da parte del fegato che, fungendo da guida, aiutava a rimuovere la placca amiloide dal cervello. Il processo, secondo gli scienziati, avviene in modo sorprendente grazie a un componente di questa proteina che fa letteralmente scivolare via dal cervello la placca, per farla arrivare nel sangue per essere infine smaltita come scoria.
«E' come un aspirapolvere che fa pulizia del cervello per liberarlo dalla placca amiloide non desiderata», ha commentato il dottor Vijayalakshmi Ravindranath, neuroscienziato senior presso l’Indian Institute of Science di Bangalore, che ha avviato lo studio di otto anni fa, mentre era direttore del NBRC.
I risultati hanno superato le aspettative dei ricercatori, i quali sanno che allo stato attuale la possibilità di prevenire o trattare la placca amiloide è tra i migliori approcci nel combattere l’Alzheimer. Sebbene lo studio sia stato condotto su modello animale, e non sia ancora pronto per la sperimentazione sugli esseri umani, i ricercatori forti dei risultati nutrono buone speranze che si possano ottenere risultati positivi sull’uomo. Se le aspettative saranno premiate da altri studi, per le persone colpite da una malattia devastante come l’Alzheimer si aprono prospettive migliori.
Gingko Biloba
Possibilità di trattamento della demenza di Alzheimer con estratto di Ginko Biloba
Dott. Daniele Borroni - Medico Chirurgo, Specialista in Geriatria - Direttore Sanitario della Fondazione Ferrario - Vanzago (MI)
Pianta appartenente alla famiglia delle Ginkgoaceae, era considerata sacra in Oriente e, secondo alcuni, ha un impiego plurimillenario nella Medicina tradizionale cinese; venne salvata dall'estinzione dai monaci buddisti che la coltivavano attorno ai loro templi. E' un albero dioico, esistendo infatti piante con soli fiori femmina e soli fiori maschi; ha una crescita molto lenta e, secondo alcuni studiosi, potrebbe vivere anche per svariati secoli, da ciò deriva l'appellativo di "albero dell'eterna giovinezza". Attualmente viene coltivata, a scopo commerciale, soprattutto in Corea, Giappone, nel Sud Carolina (U.S.A.) e in Francia. I numerosi studi effettuati e la sperimentazione biologica hanno, in fasi successive, dimostrato, con riferimento alla terapia delle Demenze, alcune azioni farmacologiche.
Bacopa Monnieri
La pianta di Bacopa Monnieri è originaria dell’India dove viene utilizzata da più di 3000 anni. Deve il proprio nome a Brahman che significa “coscienza pura” per il suo potere di placare la mente e favorire la meditazione.
Questa pianta è da tempo utilizzata per migliorare le funzioni cognitive come la capacità di attenzione, la memoria, i riflessi mentali oltre che per aumentare la resistenza fisica e per innumerevoli altri utilizzi. A scopo terapeutico si utilizza tutta la pianta essiccata, le foglie e i gambi. I suoi principali componenti sono: saponine, steroidi e alcaloidi. L’effetto della pianta è direttamente sull’aspetto cognitivo, sulla
Proprietà e benefici principali
Da sempre viene utilizzata in India per sviluppare le funzioni cerebrali, la capacità di apprendimento, migliorare la memoria, la concentrazione, per le difficoltà di ragionamento e di linguaggio.
Diversi studi fatti su volontari anziani che hanno assunto Bacopa Monnieri hanno dimostrato ogni giorno un miglioramento dell’ attenzione e dell’ elaborazione delle informazioni verbali. Un regolare consumo può essere quindi un ottimo rimedio preventivo per la malattie mentali nell’anziano come il morbo di Alzheimer e la demenza senile.
Ogni prodotto radice erba o estratto presente in questo scritto va avallato dal proprio medico di fiducia e va inteso come una consulenza di naturopatia. Il presente scritto non vuole sostituirsi al parere del medico di fiducia e non può essere considerato un documento, prescrizione o indicazione sanitaria.

di Walter Falletti - Oriental Medicine Doctor OMD




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